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54 | saggio critico sul petrarca |
è un miracolo di grazia; e la ballata:
Perch’io no spero di tornar giammai,1 |
è ciò che di piú tenero e insieme di piú soave si trovi in ballata italiana. Era esule, lontano dalla patria e dall’amata, tisico, poco poi moriva. Moriva, ma lasciando di sé eterna
- ↑ E questa è l’altra:
Perch’io no spero di tornar giammai,
Ballatetta, in Toscana,
Va tu leggiera e piana
Dritta alla donna mia,
Che per sua cortesia
Ti fará molto onore.
Tu porterai novelle de’ sospiri.
Piene di doglia e di molta paura;
Ma guarda che persona non ti miri.
Che sia nemica di gentil natura;
Che certo per la mia disavventura
Tu saresti contesa.
Tanto da lei ripresa,
Che mi sarebbe angoscia:
Dopo la morte poscia
Pianto e novel dolore.
D’amor la salutai immantinente, E domandai se avesse compagnia: Ed ella mi rispose dolcemente Che sola sola per lo bosco giá: E disse: sappi, quando l’augel pia, Allor disia — lo mio cor drudo avere. Poiché mi disse di sua condizione, E per lo bosco augelli udío cantare. Fra me stesso dicea: ora è stagione Di questa pastorella gioi’ pigliare. Mercé le chiesi, sol che di basciare. Ed abbracciare — fosse ’l suo volere. Per man mi prese d’amorosa voglia, E disse che donato m’avea ’l core: Menommi sotto una freschetta foglia, lá dove io vidi fior d’ogni colore: E tanto vi sentio gioia e dolzore, Che Dio d’Amore — mi parve ivi vedere. |