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iii. il mondo di petrarca 59


Vi citerò, come i piú degni di nota, i sonetti:

                                         Voi, che portate la sembianza umile,
Con gli occhi bassi mostrando dolore,
Onde venite, che ’l vostro colore
Par divenuto di pietá, simile?
     


                                             Era la voce mia si dolorosa,
    E rotta si dall’angoscia e dal pianto,
    Ch’io solo intesi il nome nel mio core;
    E con tutta la vista vergognosa,
    Ch’era nel viso mio giunta cotanto.
    Mi fece verso lor volgere Amore.
    Egli era tale a veder mio colore,
    Che iacea ragionar di morte altrui.
    Deh confortiam costui.
    Pregava Tuna l’altra umilemente;
    E dicevan sovente:
    Che vedestu, che tu non hai valore?
    E quando un poco confortato fui.
    Io dissi: Donne, dicerollo a vui.
         Mentre io pensava la mia frale vita,
    E vedea il suo durar come è leggero,
    Piansemi Amor nel core, ove dimora:
    Perché Panima mia fu si smarrita,
    Che sospirando dicea nel pensiero:
    Ben converrá che la mia donna mora.
    Io presi tanto smarrimento allora,
    Ch’io chiusi gli occhi vilmente gravati:
    Ed eran si smagati
    Gli spirti miei, che ciascun giva errando.
    E poscia immaginando.
    Di conoscenza e di veritá fuora.
    Visi di donne m’apparver crucciati.
    Che mi dicien pur: Morrati, morrati.
         Poi vidi cose dubitose molte
    Nel vano immaginar, ov’io entrai:
    Ed esser mi parca non so in qual loco,
    E veder donne andar per via disciolte,
    Qual lagrimando, e qual traendo guai,
    Che di tristizia saettavan foco.
    Poi mi parve veder a poco a poco
    Turbar lo sole ed apparir la stella,
    E pianger egli ed ella;
    Cader gli augelli volando per l’âre,
    E la terra tremare;
    Ed uom m’apparve scolorito e fioco.
    Dicendomi: Che fai? non sai novella?
    Morta è la donna tua, ch’era si bella.