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vi - il trecento 111


scopre il suo zio, e i rimproveri affettuosi di lui e le grida strazianti e disperate della bella pentita sono una vera scena drammatica, alla quale non trovi niente comparabile nel teatro italiano. In queste Vite del Cavalca, che sono traduzioni, ma per la freschezza e spontaneitá del dettato e per la commossa partecipazione del frate sono cosa originale, il concetto del secolo, uscito dalle astrattezze teologiche e scolastiche, prende carne, acquista una esistenza morale e materiale. Il santo è esso medesimo il concetto divenuto persona, e la sua rappresentazione ti offre il nuovo mondo morale aperto al cristiano, fatto attivo e divenuto storia, la storia del santo. Cardine di questo mondo morale è la realtá della vita nell’altro mondo e la guerra a tutti gl’istinti e affetti terreni, l’astinenza e la pazienza, il «sustine et abstine»; e però le sue virtú non esprimono altro che la vittoria dell’uomo sopra se stesso, sulla sua natura: indi l’umiltá, il perdono delle offese, la povertá, la castitá, l’ubbidienza. Se la vittoria fosse preceduta dalla lotta, lo spettacolo sarebbe sublime: ma il piú sovente il santo entra in iscena ch’è giá santo e nell’esercizio quieto delle sue cristiane virtú, interrotto a volte dalle tentazioni del demonio cacciato via da scongiuri e segni di croce: ciò che è grottesco piú che sublime. Il santo è troppo santo perché la sua vita possa offrirti una vera contraddizione e battaglia tra il cielo e la natura: ciò che rende cosí drammatica la vita di Agostino e di Paolo. Qui hai racconti uniformi, infinite ripetizioni, rarissimi contrasti, e spesso provi noia e stanchezza. La musa di queste cristiane virtú non è la forza e non è l’azione, ma è un certo languir d’amore, una effusione di teneri e dolci sentimenti, liriche aspirazioni ed estasi e orazioni, un impetuoso prorompere degli affetti naturali tosto sedato e riconciliato, il sacrificio ignorato e oscuro che ha la sua glorificazione anche terrena dopo la morte. Una delle vite piú interessanti e popolari è quella di santo Alessio, che abbandona la nobile casa paterna e la sposa il di delle nozze, e va peregrinando e limosinando; e dopo molti anni, tornato in patria, serve non conosciuto in casa il padre, e non si scopre alla madre e alla sposa, e i servi gli dánno le guanciate, e lui umile