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xii - il cinquecento 401


il Molza i fichi, il Mauro la bugia, il Caro il naso lungo: si cantano le cose piú volgari e anco piú turpi, e spesso con equivoci e allusioni oscene, al modo di Lorenzo, il maestro del genere. Il carnevale dalla piazza si ritira nelle accademie, e diviene piú attillato, ma anche piú insipido. Tra queste accademie era quella dei Vignaiuoli a Roma, dove recitavano il Mauro, il Casa, il Molza, il Berni tra prelati e monsignori. Il Berni piacque fra tutti, e si disputavano i suoi capitoli e se li passavano di mano in mano.

Francesco Berni, «maestro e padre del burlesco stile», detto poi «bernesco», è l’eroe di questa generazione, erede di Giovanni Boccaccio e di Lorenzo, nella sua sensualitá ornata dalla coltura e dall’arte. Nella sua ammirazione per questo «primo e vero trovatore» dello stile burlesco, il Lasca dice:

                                    Non sia chi mi ragioni di Burchiello;
che saria proprio come comparare
Caron demonio all’agnol Gabriello.
     

Buontempone, amico del suo comodo e del dolce far niente la sua divinitá è l’ozio piú che il piacere:

                                    Cacce, musiche, feste, suoni e balli
giochi, nessuna sorte di piaceri
troppo il movea...
Onde il suo sommo bene era in iacere
nudo, lungo, disteso; e ’l suo diletto
era non far mai nulla e starsi in letto.
     
Ma il poveruomo è costretto a lavorare per guadagnarsi la vita, e fa il segretario, come tutti quasi i letterati di quel tempo, a’ servigi di questo e quel cardinale:
                                    Aveva sempre in seno e sotto il braccio
dietro e innanzi di lettere un fastello,
e scriveva e stillavasi il cervello.
     

F. de Sanctis, Storia della letteratura italiana - i.

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