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406 storia della letteratura italiana


il Berni è tanto superiore a’ suoi imitatori ed emuli, freddamente osceni e buffoni. Pure la buffoneria oscena diviene l’ingrediente de’ banchetti, delle accademie e delle conversazioni, e invade la letteratura, quasi condimento e salsa dello spirito: la statua di Pasquino diviene l’emblema della coltura. Ci erano capitoli e sonetti: sorgono poemi interi berneschi, com’è la Vita di Mecenate del Caporali, di una naturalezza spesso insipida e volgare, e il suo Viaggio al Parnaso e la Gigantea dell’Arrighi, e la Nanea del Grazzini o i Nani vincitori de’ giganti. Di tanti poeti berneschi si nomina pena il Caporali. Nondimeno questa lirica bernesca è la sola viva in questo secolo. Gli stessi poeti petrarcheggiando annoiano, e si fanno leggere piacevoleggiando; perché i loro sospiri d’amore escono da un repertorio giá vecchio di concetti e di frasi e non corrispondono allo stato reale della societá e della loro anima; dove in quel piacevoleggiare ci è il secolo, ci è loro, e non ci è ancora modelli o forme convenzionali, e qualche cosa dee pur venire dal loro cervello.

I canti carnascialeschi, come i rispetti e le ballate e le serenate, erano legati con la vita pubblica. Ora il circolo della vita si restringe: la vita letteraria è nelle accademie e tra’ convegni privati. Per le piazze si aggirano ancora i cantastorie e si sentono canzoni plebee. Ma la coltura se ne allontana, e la trovi in corte o nell’accademia o nelle conversazioni; centri di allegria spensierata e licenziosa, però da gente colta, che sa di greco e di latino, che ammira le belle forme e cerca ne’ suoi divertimenti l’eleganza o, come dicevasi, il «bello stile». Vi si recitavano capitoli, sonetti, poemi burleschi, poemi di cavalleria e novelle. Come però l’arte è una merce rara e la produzione era infinita, il pubblico diveniva meno severo, e pur d’esser divertito non mirava tanto pel sottile nel modo. In sostanza questa borghesia spensierata e oziosa era sotto forme cosi linde vera plebe, mossa dagli stessi istinti grossolani e superficiali: la curiositá, la buffoneria, la sensualitá; e quando quest’istinti erano accarezzati, accettava tutto, anche il mediocre, anche il pessimo: il che era segno manifesto di non lontana decadenza.