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ancora plebea di quella vita nuova svegliatasi in Europa al tempo delle Crociate e che avea avuta la sua espressione anche in Italia, e massime nella normanna Sicilia. Di quella vita un’espressione ancor semplice e immediata, ma piú nobile, piú diretta e meno locale, è nella romanza attribuita al re di Gerusalemme e nel Lamento dell’ amante del crociato di Rinaldo d’Aquino. Sentimenti gentili e affettuosi sono qui espressi in lingua schietta e di un pretto stampo italiano, con semplicitá e veritá di stile, con melodia soave. Cantato e accompagnato da istrumenti musicali, questo «sonetto», come lo chiama l’ innamorata, dovea fare la piú grande impressione. Comincia cosi :
Giammai non mi conforto né mi voglio allegrare.
Le navi sono al porto e vogliono collare.
Vassene la piú gente in terra d’oltremare.
Ed io, oimè lassa dolente! come degg’ io fare?
Vassene in altra contrata, e noi mi manda a dire: ed io rimango ingannata.
Tanti son li sospire che mi fanno gran guerra la notte con la dia; né in cielo né in terra non mi par eh’ io sia.
Il séguito della canzone è una tenera e naturale mescolanza di preghiere e di lamenti, ora raccomandando a Dio l’amato, ora dolendosi con la croce :
La croce mi fa dolente, e non mi vai Deo pregare.
Oimè, croce pellegrina, perché m’ hai cosi distrutta? oimè lassa tapina! eh’ io ardo e incendo tutta.