Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. I, 1962 – BEIC 1807078.djvu/222

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volsimi alla sinistra, col respitto col quale il fantolin corre alla mamma, quando ha paura o quando egli è afflitto, per dicer a Virgilio: — Men che dramma di sangue m’ è rimaso, che non tremi : conosco i segni dell’antica fiamma. —

Ma Virgilio n’avea lasciati scemi di sé; Virgilio, dolcissimo padre;

Virgilio, a cui per mia salute dièmi.

Dai pianto di Dante esce un felicissimo passaggio per introdurre in iscena Beatrice:

Dante, perché Virgilio se ne vada, non pianger anco, non piangere ancora, ché pianger ti convien per altra spada.

Gli occhi dí Dante sono lá verso la donna, che lo chiama per nome:

Guardami ben: ben son, ben son Beatrice.

Come degnasti d’accedere al monte? non sapei tu che qui l’uomo è felice?

E gli occhi cadono nella fontana e, non sostenendo la propria vista, cadono sull’erba:

Gli occhi mi cadder giú nel chiaro fonte; ma, veggendomi in esso, io trassi all’erba: tanta vergogna mi gravò la fronte.

Qui è la prima volta e sola che un’azione è rappresentata nel suo cammino e nel suo svolgimento, come in un mistero; e Dante vi rivela un ingegno drammatico superiore. I piu intimi e rapidi movimenti dell’animo scappan fuori; i due attori, Dante e Beatrice, vi sono perfettamente disegnati; gli angioli fanno coro e intervengono. La scena è rapida, calda, piena di movimenti e di gradazioni fine e profonde. La vergogna di Dante senza lacrime e sospiri giunge a poco a poco sino al pianto dirotto. Dapprima sta If piú attonito che compunto; ma, quando gli