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126 storia della letteratura italiana



È notabile che questo sentimento della natura vivente, de’ suoi colori e de’ suoi chiaroscuri, non produce nella sua anima alcuna impressione o elevatezza morale, ma solo un’ammirazione o stupore artistico, come in un italiano di quel tempo. Vede la natura a traverso il pennello di Tiziano e del paesista Vecellio, ma la vede viva, immediata, e con un sentimento dell’arte che cerchi invano nel Vasari. Fra tante opere pedantesche di quel tempo intorno all’arte e allo scrivere, le sue lettere artistiche e letterarie segnano i primi splendori di una critica indipendente, che oltrepassa i libri e le tradizioni e trova la sua base nella natura.

Quale il critico, tale lo scrittore. Delle parole non si dá un pensiero al mondo. Le accoglie tutte, onde che vengano e quali che sieno: toscane, locali e forestiere, nobili e plebee, poetiche e prosaiche, aspre e dolci, umili e sonore. E n’esce uno scrivere che è il linguaggio parlato anche oggi comunemente in Italia dalle classi colte. Abolisce il periodo, spezza le giunture, dissolve le perifrasi, disfá ripieni ed ellissi, rompe ogni artificio di quel meccanismo che dicevasi «forma letteraria», s’accosta al parlar naturale. Nel Lasca, nel Cellini, nel Cecchi, nel Machiavelli ci è la stessa naturalezza; ma ci senti l’impronta toscana, tutta grazia. Questi è un toscano ineducato, figlio della natura, vivuto fuori del suo paese, e che parla tutte le lingue fra le quali esercita le sue speculazioni. Fugge il toscaneggiare come una pedanteria; non cerca la grazia: cerca l’espressione e il rilievo. La parola è buona quando gli renda la cosa atteggiata come è nel suo cervello, e non la cerca: gli viene innanzi cosa e parola, tanta è la sua facilita. Non sempre la parola è propria e non sempre adatta, perché spesso scarabocchia e non scrive, abusando della sua facilita. Il suo motto è: «Come viene viene», e nascono grandi ineguaglianze. Di Cicerone e del Boccaccio non si dá fastidio, anzi fa proprio l’opposto, cercando non magnificenza e larghezza di forme, nelle quali si dondola un cervello indolente, ma la forma piú rapida e piú conveniente alla velocitá delle sue percezioni. E neppure affetta brevitá, come il Davanzati, cervello ozioso, tutto alle prese con le parole e gl’ incisi; perché la sua attenzione non è al di fuori, è tutta al di dentro.