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282 storia della letteratura italiana


suoi tesori, e si sentiva tanto felice tra quegli arcadi, ch’ella proteggeva e che con dolce ricambio chiamavano lei «immortale e divina». Felice Cristina di Svezia! e felice Italia!

L’inferioritá intellettuale degli italiani era giá un fatto noto nella dotta Europa, e ne attribuivano la cagione al mal governo papale-spagnuolo. Gli stessi italiani aveano ormai coscienza della loro decadenza, e, non avvezzi piú a pensare col capo proprio, attendevano con aviditá le idee oltramontane e mendicavano elogi da’ forestieri. Giovanni Leclerc scriveva anno per anno la sua Biblioteca, una specie d’inventario ragionato delle opere nuove. E come si tenea fortunato quell’italiano che potea averci lá dentro un posticino! La lingua francese era divenuta quasi comune e prendeva il posto della latina. Un movimento d’importazione c’era lento e impedito da molti ostacoli e vivamente combattuto nelle accademie e nelle scuole, dove regnava Suarez e Alvarez, tra interpreti e comentatori. La Fisica di Cartesio penetrò in Napoli settanta anni dopo la sua morte e quando giá era dimenticata in Francia; e non si aveva ancora notizia del suo Metodo e delle sue Meditazioni. Grazio girava per le mani di pochi. Di <span id="<Baruch pinosa">[[Autore:<Baruch pinosa|Spinosa]][[Categoria:Pagine in cui è citato <Baruch pinosa|De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. II, 1912 – BEIC 1807957.djvu/288]] e di Hobbes il solo nome faceva orrore. Di Giovanni Locke appena qualche sentore. Un movimento si annunziava negli spiriti, quel non so che di vago, quel bisogno di cose nuove che testimonia il ritorno della vita. Pareva che il cervello, dopo lungo sonno, si svegliasse. I renatisti penetravano nelle scuole co’ loro «metodi strepitosi», come li chiamava Vico, promettitori di scienza facile e sicura. Definizioni, assiomi, problemi, teoremi, scolii, postulati cacciavano di sede sillogismi, entimemi e soriti. Il «quod erat demonstrandum» succedeva all’«ergo». Chiamavano «pedanti» i peripatetici, e questi chiamavano loro «ciarlatani». Sempre cosi. Il vecchio è detto «pedanteria», ed il nuovo «ciarlataneria». E qualche cosa di vero c’ è. Perché il vecchio nella sua decrepitezza e stagnazione ha del pedante, e il nuovo nella sua giovanile esagerazione ha del ciarlatano. Ciascuno ha il suo lato debole, che non può nascondere all’occhio acuto e appassionato dell’avversario.