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xx - la nuova letteratura 419


colti, e per bocca di monsignor Mazzetti annunziava un largo riordinamento degli studi. Che si voleva piu? I liberali, con quel senso squisito dell’opportunitá che ha ciascuno nell’interesse proprio, inneggiavano a’ principi, stringevano la mano a’ preti, fino ridevano a’ gesuiti. Fu allora che apparve in Italia un’opera stranissima, il Primato di Vincenzo Gioberti. Ivi con molta facilitá di eloquio, con grande apparato di erudizione, con superbia e ricercatezza di formole si proclamava il primato della civiltá italiana, riannodata attraverso le glorie romane alle tradizioni italo-pelasgiche, fondata sul papato, restitutore della religione nella sua puritá, riconciliato con le idee moderne, e tendente all’autocrazia dell’ ingegno e al riscatto delle plebi. La creazione, sostituita al «divenire» egheliano, rimetteva le gambe al soprannaturale e alla rivelazione : tutto il Risorgimento era dichiarato eterodosso o acattolico, e il presente si ricongiungeva immediatamente col medio evo. Era la conciliazione politica sublimata a filosofia, era la filosofia costruita ad uso del popolo italiano. Frate Campanella pareva uscito dalla sua tomba. L’impressione fu immensa. Sembrò che ci fosse alfine una filosofia italiana. Vi si vedevano conciliate tutte le opposizioni: il papa a braccetto co’ principi, i principi riamicati a’ popoli, il misticismo internato nel socialismo, Dio e progresso, gerarchia e democrazia: un bilanciere universale. Il movimento era visibilmente politico, non religioso e non filosofico. E ciò che ne usci non fu giá né ima riforma religiosa né un movimento intellettuale, ma un moto politico, tenuto in piede dall’equivoco e crollato al primo urto de’ fatti. Questa era la faccia della societá italiana. Era un ambiente, nel quale anche i piú fieri si accomodavano, non scontenti del presente, fiduciosi nell’avvenire: i liberali biascicavano «paternostri», e i gesuiti biascicavano «progresso e riforme». La situazione in fondo era comica, e il poeta che seppe coglierne tutt’ i segreti fu Giuseppe Giusti. La Toscana, dopo una prodigiosa produzione di tre secoli, non aveva piú in mano l’indirizzo letterario d’Italia. Si era addormentata col riso del Berni sul labbro. La Crusca l’aveva inventariata e imbalsamata. Resistè piú che potè nel suo sonno,