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54 | storia della letteratura italiana |
de’ papi, e Aletto fulmina ugualmente guelfi e ghibellini, i seguaci della Francia e i seguaci dell’ impero. I monaci sono il principale bersaglio di questi strali poetici. Una delle pitture piú comiche è quel biricchino di Cingar, vestito da francescano per liberare Baldo dal carcere:
Jam non est Cingar, quia sanctos portat amictus,... sub tunicis latitant heu sanctis saepe ribaldi! |
Notabile è la satira de’ frati nell’ottavo libro :
Postquam giocarunt nummos, borsamque vodarunt, postquam pane caret cophinus, vinoque barillus, in fratres properant, datur his extemplo capuzzus. |
La moltiplicita de’ conventi gli fa temere che un bel di rimanga la gente cristiana senza soldati e senza contadini. Scherza su’ motti del Vangelo. Fa una parodia della confessione. X cavalieri erranti giungono alla porta dell’ inferno, dov’ è parodiata la celebre scritta di Dante:
Regia Luciferi dicor, bandita tenetur cohors hic, intrando patet, ast uscendo seratur. |
Ma non possono domare l’inferno, se prima non si confessano,
e il confessore è Merlino stesso, il poeta :
Nomine Merlinus dicor, de sanguine Mantus, est mihi cognomen Cocaius maccaronensis. |
Quale confessione i cavalieri possano fare a Merlino, soprattutto Cingar, il lettore s’immagini. È una farsa. Tutta l’opera è penetrata da uno spirito capriccioso e beffardo, che fa di quel mondo, in mezzo a cui si trova, il suo aperto trastullo e gli dá forme carnascialesche.
Anche la Moscheide di Merlino è una caricatura o un travestimento carnevalesco della cavalleria in uno stile piú corretto e uguale. La guerra finisce con la sconfitta compiuta delle mosche, descritta co’ tratti, da lui caricati, dell’Ariosto e di altri poeti cavallereschi. Eccone alcuni brani verso la fine: