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coltura, per industrie, per ricchezze, per opere d’arti e d’ingegno: teneva senza contrasto il primato intellettivo in Europa. Grave fu lo sgomento negl’italiani quando ebbero gli stranieri in casa; ma vi si ausarono e trescarono con quelli, confidando di cacciarli via tutti con la superioritá dell’ ingegno. Spettacolo pieno di ammaestramento è vedere, tra lanzi, svizzeri, tedeschi e francesi e spagnuoli, l’alto e spensierato riso di letterati, artisti, latinisti, novellieri e buffoni nelle eleganti corti italiane. Fino ne’ campi i sonettisti assediavano i principi : Giovanni de’ Medici cadeva tra’ lazzi di Pietro Aretino. Gli stranieri guardavano attoniti le maraviglie di Firenze, di Venezia, di Roma e tanti miracoli dell’ ingegno; e i loro principi regalavano e corteggiavano i letterati, che con la stessa indifferenza celebravano Francesco primo e Carlo quinto. L’Italia era inchinata e studiata da’ suoi devastatori, come la Grecia fu da’ romani.

Fra tanto fiore di civiltá e in tanta apparenza di forza e di grandezza mise lo sguardo acuto Niccolò Machiavelli, e vide la malattia dove altri vedevano la piú prospera salute. Quello che oggi diciamo «decadenza» egli disse «corruttela», e base di tutte le sue speculazioni fu questo fatto : la corruttela della razza italiana, anzi latina, e la sanitá della germanica.

La forma piú grossolana di questa corruttela era la licenza de’ costumi e del linguaggio, massime nel clero : corruttela che giá destò l’ira di Dante e di Caterina, ed ora messa in mostra ne’ dipinti e negli scritti, penetrata in tutte le classi della societá e in tutte le forme della letteratura, divenuta come una salsa piccante che dava sapore alla vita. La licenza, accompagnata con l’empietá e l’incredulitá, avea a suo principal centro la corte romana, protagonisti Alessandro sesto e Leone decimo. Fu la vista di quella corte che infiammò le ire di Savonarola e stimolò alla separazione Lutero e i suoi concittadini.

Nondimeno il clero per abito tradizionale tuonava dal pergamo contro quella licenza. Il Vangelo rimaneva sempre un ideale non contrastato, salvo a non tenerne alcun conto nella vita pratica: il pensiero non era piú la parola, e la parola non era piú l’azione; non ci era armonia nella vita. In questa disarmonia