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78 storia della letteratura italiana


convenzionale, un meccanismo tutto d’imitazione, a cui l’intelletto stesso rimaneva estraneo. I filosofi non avevano ancora smesse le loro forme scolastiche; i poeti petrarcheggiavano; i prosatori usavano un genere bastardo, poetico e rettorico, con l’imitazione esteriore del Boccaccio: la malattia era una, la passivitá o indifferenza dell’ intelletto, del cuore, dell’ immaginazione, cioè a dire di tutta l’anima. Ci era lo scrittore, non ci era l’uomo. E fin d’allora fu considerato lo scrivere come un mestiere, consistente in un meccanismo che dicevasi «forma letteraria», nella piena indifferenza dell’animo : divorzio compiuto tra l’uomo e lo scrittore. Fra tanto infuriare di prose rettoriche e poetiche, comparve la prosa del Machiavelli, presentimento della prosa moderna.

Qui l’uomo è tutto, e non ci è lo scrittore, o ci è solo in quanto uomo. Il Machiavelli sembra quasi ignori che ci sia un’arte dello scrivere, ammessa generalmente e divenuta moda o convenzione. Talora ci si prova e ci riesce maestro; ed è, quando vuol fare il letterato, anche lui. L’uomo è in lui tutto. Quello che scrive è una produzione immediata del suo cervello, esce caldo caldo dal di dentro : cose e impressioni, spesso condensate in una parola. Perché è un uomo che pensa e sente, distrugge e crea, osserva e riflette, con lo spirito sempre attivo e presente. Cerca la cosa, non il suo colore: pure la cosa vien fuori insieme con le impressioni fatte nel suo cervello, perciò naturalmente colorita, traversata d’ironia, di malinconia, d’indignazione, di dignitá, ma principalmente lei nella sua chiarezza plastica. Quella prosa è chiara e piena come un marmo, ma un marmo qua e lá venato. È la grande maniera di Dante che vive lá dentro. Parlando dei mutamenti introdotti al medio evo ne’ nomi delle cose e degli uomini, finisce cosi : «Gli uomini ancora, di Cesari e Pompei, Pieri, Giovanni e Mattei diventarono». Qui non ci è che il marmo, la cosa ignuda; ma quante vene in questo marmo! Ci senti tutte le impressioni fatte da quell’ immagine nel suo cervello, l’ammirazione per quei Cesari e Pompei, il disprezzo per quei Pieri e Mattei, lo sdegno di quel mutamento; e lo vedi alla scelta caratteristica de’ nomi, al loro collocamento