Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/108

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— Là non va certo per far all’amore!...

Allora la vecchia sollevò irritata il viso e il suo collo parve allungarsi più del solito, tutto corde.

— E in casa mia viene forse a far all’amore? No; egli è un ragazzo onesto. Neppure tocca la mano a Grixenda. Essi si amano come buoni cristiani, in attesa di sposarsi. Dimmi in tua coscienza, Efix, che intenzioni ha? Fammi questa carità, per l’anima del tuo padrone.

Efix diventò pensieroso.

— Sì, una sera, alla festa, egli mi disse: la sposerò.... In mia coscienza credo però che egli non possa.

— Perchè? Egli non è nobile.

— Non può, ripeto, donna! — disse Efix con più forza.

— Per denari ne ha, questo si vede. Spende senza contare. E il tuo padrone morto diceva, mi ricordo, quando anche lui veniva a sedersi a casa mia ed era giovine e viveva mia nonna: l’amore è quello che lega l’uomo alla donna, e il denaro quello che lega la donna all’uomo.

— Lui? Diceva così? A chi?

— A me, sei sordo? Sì a me. Ma io avevo quindici anni ed ero senza malizia. Mia nonna cacciò via di casa don Zame e mi fece sposare Priamu Piras. E Priamu mio era un valent’uomo: aveva un pungolo con una lesina in cima e mi diceva, avvicinandomelo agli occhi: vedi? ti porto via la pupilla viva se