Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/143

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— È lui che ha voluto. Mi ha aggredita e voleva uccidermi.

— Uccidervi? Per così poco? Oh, quell’uomo e le mie zie fanno tanto strepito per delle miserie, mentre c’è gente, laggiù, che fa debiti per milioni e nessuno lo sa!

Ma alla vecchia non importava nulla della gente di laggiù.

— Ho dovuto prendere il palo per difendermi! Intende, vossignoria? Il servo è feroce: non si fidi!

Giacinto stette un momento immobile, guardandosi le mani su cui cadeva l’ombra tremula d’un riccio di vite. Poi trasalì.

— Non mi fiderò. Anzi voglio partire. Non posso più vivere, qui.... Anzi, guadagnerò: fra quaranta giorni vi restituirò tutto, fino all’ultimo centesimo. Adesso però mi dovete dare i soldi per il viaggio. Vi rilascerò un’altra cambiale.

— Firmata da chi?

— Da me! — egli disse risoluto. — Da me! Fidatevi. Salvate un’anima. Su, presto! E tenete il segreto.

Le toccò la spalla come il Barone, ed ella s’alzò e andò a prendere i denari dalla cassa: due biglietti da cinquanta lire che palpò a lungo, guardandoli attraverso la luna e pensando che per il viaggio di Giacinto bastava uno. Così l’altro lo ripose. La luna alta sul finestrino sopra la cassa mandava un nastro d’ar-