Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/146

Da Wikisource.

— 138 —

porta preceduta da un portico. Bevevano, seduti nella queta stanza terrena, con le gambe accavalcate e il gomito sullo spigolo del tavolo: e tutti e due, l’uomo grasso e l’uomo magro, sembravano contenti della vita.

— Bevi, bevi! — dissero assieme porgendo a Giacinto il loro vino; ma egli respinse assieme i due bicchieri.

— Stai male, che non bevi?

— Sto male, sì.

Però non disse che male, tanto quei due non l’avrebbero capito.

— Tua zia Noemi t’ha bastonato?

— Grixenda non ti ha baciato abbastanza? Corfu ’e mazza a conca, — disse il Milese ripetendo l’imprecazione della serva golosa.

— Ohuff! — sbuffò Giacinto appoggiando i gomiti al tavolino per stringersi la testa fra le mani; e come la sua spalla tremava, don Predu gliela guardò, sbiancandosi lievemente in viso; e quella spalla convulsa parve dargli tale noia che si alzò e vi posò la mano dicendo:

— Usciamo, andiamo a prendere il fresco.

Andarono a prendere il fresco; i loro passi risuonavano nel silenzio come quelli della ronda notturna. Gira e rigira anche Giacinto fu preso dall’allegria un po’ amara de’ suoi compagni.

— Andiamo a teatro, zio Pietro? A quest’ora nelle città del Continente comincia la