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una malattia di languore come quella che tutti gli anni a primavera rendeva pallida Noemi: non andava quasi più in chiesa, si trascinava qua e là per la casa, si sedeva ogni tanto, con le mani abbandonate sulle coscie, dicendo che le facevano male i piedi. Nella casa la miseria non era più grave degli anni scorsi, poichè Efix provvedeva alle cose più necessarie, ma l’aria stessa pareva impregnata di tristezza.

In quaresima le due sorelle andarono a confessarsi. Era un bel mattino limpido sonoro; s’udivano grida di bambini e tintinnii di greggie giù fra i giuncheti della pianura, e la voce del fiume, grossa, sempre più grossa, che pareva minacciasse, ma per scherzo. Sul cielo tutto turchino non una nuvoletta, e l’aria così trasparente che sulle roccie del Castello si vedevano scintillare le pietre e una finestra vuota delle rovine affacciarsi piena d’azzurro fra l’edera che l’inghirlandava.

Prete Paskale era dentro il suo confessionale, e non intendeva uscirne, sebbene Natòlia l’aspettasse in sagrestia col caffè e i biscotti in un cofanetto.

Vedendo arrivare le due nuove penitenti, la serva fece un atto disperato, e pensò che era bene andare a far riscaldare il caffè dalla sua amica Grixenda. Eccola dunque col cofanetto sul capo, uscire dietro l’abside, e scendere il viottolo, fra le macchie di rovo scintillanti di rugiada.