Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/197

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là nella chiesa, accovacciate sul pavimento verdastro: un silenzio profondo, una luce azzurrina, un odore di erba inondavano la basilica umida e triste come una grotta; la Maddalena affacciata alla sua cornice pareva intenta alle voci della primavera che venivano con l’aria fragrante, e Noemi sentiva anche lei, fin là dentro, fin contro la grata che esalava un odor di ruggine e di alito umano, un tremito di vita, un desiderio di morte, un’angoscia di passione, uno struggimento di umiliazione, tutti gli affanni, i rimpianti, il rancore e l’ansito della peccatrice d’amore.


Rientrando videro Efix alzarsi a fatica appoggiando la mano allo scalino. Allora Noemi, calda ancora di pietà e d’amore di Dio, s’accorse per la prima volta che il servo si era mal ridotto, vecchio, grigio, con le vesti divenutegli larghe, e tese la mano come per aiutarlo a sollevarsi. Ma egli era già su e non badava all’atto di lei.

E quando furono dentro e donna Ester domandò notizie del poderetto come fosse ancora suo, egli rispose alzando le spalle con rozzezza insolita e andò a lavarsi al pozzo.

Aprile rallegrava anche il triste cortile, le rondini sporgevano la testina nera dai nidi della loggia guardando le compagne che volavano basse come inseguendo la loro ombra sull’erba fitta dell’antico cimitero.