Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/221

Da Wikisource.

— 213 —


Ed anche Efix si curvò; e stettero così, vicini, tanto che l’uno sentiva il caldo del fianco dell’altro: stettero quasi tempia contro tempia, come ascoltando una voce di sotterra.

— Vero è! Noi non possiamo fare la sorte, — ammise Efix.

— Eppoi, tu credi ch’ella sarebbe felice, sposando zio Pietro? Non basta il pane per renderci felici; adesso me ne accorgo anch’io.... Ci vuole altro!

— Ma tu, dimmi.... tu....

— Io?

— Sì, tu, sapevi?

— Che vuoi che ti dica? Un uomo si accorge sempre di queste cose. Ma io ti giuro, sull’anima di mia madre, io l’ho sempre rispettata, Noemi, come una cosa sacra.... Eppure, sì, te lo dico, perchè so che posso dirtelo, solo una volta, quando ella è svenuta ed io ho pianto sopra i suoi occhi, sì, posso dirtelo come potrei dirlo a mia madre, con la stessa innocenza, sì, ci siamo guardati.... attraverso le lagrime, e forse allora.... forse allora.... Non so, ecco; non ti dico altro. Ma forse per questo sono andato via, più che per quanto avevo commesso di male.

— Lascia ch’io ti domandi un’altra cosa. Quando tu sei venuto al poderetto, l’ultima volta, tu sapevi già?

— Sapevo già.