Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/222

Da Wikisource.

— 214 —


— Ebbene, — disse Efix sollevandosi, — tu sei un uomo!

— Che vuoi? — rispose Giacinto subito lusingato. — Conosco un po’ la vita, null’altro. Si fa presto a conoscere la vita, quando si nasce dove sono nato io. Ma tu pure conosci la vita, a modo tuo, e per questo ci siamo capiti anche parlando un diverso linguaggio. Ricòrdati quando scendevo al poderetto.... Io giocavo e misi la firma falsa perchè volevo pagare il Capitano e far bella figura davanti a lui, tornando. Egli avrebbe detto: quell’infelice s’è sollevato. E invece sono andato più giù, più giù.... Ma era come una pazzia che m’era presa: adesso ho aperto gli occhi e vedo dov’è la vera salvezza. Tu, dove l’hai trovata la vera salvezza? Vivendo per gli altri: e così voglio far io, Efix, — aggiunse, parlandogli accosto al viso; — sei tu che mi hai salvato: io voglio essere come te.... Rispondi, ho ragione? Io ti ho buttato per terra, laggiù ad Oliena, ma anche i santi son stati maltrattati, e per questo non cessano d’essere santi. Rispondi, ho ragione? — ripetè scuotendolo per le spalle. — Ricordi le cose che dicevamo al poderetto? Io le ricordo sempre, e dico appunto a me stesso: Efix ed io siamo due disgraziati, ma siamo veramente uomini, uomini tutti e due, più dello zio Pietro, più del Milese, certo! Zio Pietro? Cos’è, zio Pietro? Ha lasciato le zie