Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/229

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— Il mio compagno soffriva di cuore, — raccontava il mendicante. — Anche questi giorni scorsi è stato male: ma nessuno ci credeva. La gente non crede mai....

— Era tuo parente?

— No; ci siamo incontrati dieci anni fa, alla festa del Miracolo. Io allora avevo un compagno, Juanne Maria, che mi maltrattava. Mi maltrattava come un cane. Allora questo povero vecchio mi prese con sè: mi teneva come un figlio, non mi lasciava mai la mano se non ero seduto al sicuro. Adesso è finito....

— E adesso come farai?

— Cosa vuoi che faccia? Starò qui, aspettando la morte. Ho tutto con me, sia salva l’anima mia.

— Io posso ricondurti fino a Nuoro, — disse Efix, e d’improvviso cominciò a piangere.

Curvo sul moribondo tentava di rianimarlo bagnandogli le labbra col liquore lasciato dalla donna e la fronte con uno straccio inzuppato nel vino. Ma il viso tragico si tingeva di viola e di verde, sempre più duro e immobile alla luce fosca del crepuscolo. Anche il cuore cessò di battere. Efix riviveva l’ora più terribile della sua vita: ricordava il ponte, laggiù, fra l’ondulare dei giuncheti alla luna, e lui curvo a sentire il cuore del suo padrone morto....

Eppure si sentiva sollevato, come uno che