Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/230

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dopo lungo errare in luoghi impervii ritrova la via smarrita, il punto donde è partito.

— Ma tu, non vai? — domandò il cieco sempre immobile al suo posto.

— Andrò quando Dio comanda. Adesso accendo il fuoco perchè bisogna passare qui la notte.

Andò in cerca di legna: il vento infuriava sempre più e le nuvole salivano e scendevano dall’Orthobene, giù e su come torrenti di lava, come colonne di fumo, spandendosi su tutta la valle: ma sopra le alture di Nuoro una striscia di cielo rimaneva di un azzurro triste di lapislazzuli e la luna nuova tramontava rosea fra due rupi.

Ritornando verso la tettoia Efix vide il cieco che s’era mosso e stava curvo sul compagno, chiamandolo a nome. Piangeva e cercava l’involto delle monete. Trovato che l’ebbe se lo cacciò in seno e continuò a piangere.


Passarono la notte così. Il cieco raccontava le sue vicende, alternandole a racconti della Bibbia, e il suo dolore si calmava rapido, come un male violento che passa presto.

— Cosa credi, fratello mio? Io son nato ricco, mio padre era come Giacobbe, ma senza tanti figli, e diceva: non importa che mio figlio sia cieco, i suoi occhi son d’oro (alludeva alle sue ricchezze) e ci vedrà lo stesso. E mia madre, che aveva una voce