Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/231

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dolce come un frutto, mi ricordo, diceva: basta che il mio Istène si conservi innocente, tutto il resto non importa. E così ti dico, fratello mio, mi hanno mangiato la roba, morto mio padre e mia madre, mi hanno piluccato come un grappolo d’uva, tutti, parenti e conoscenti, Dio li perdoni, mi hanno costretto ad andare ad elemosinare, ma l’innocenza l’ho conservata, così ti dico: io non ho fatto mai male a nessuno. Ma il Signore mi ha sempre aiutato: prima Juanne Maria, Dio l'abbia in gloria, poi questo, sono stati i miei compagni, i miei fratelli, come gli angeli che accompagnavano Tobia. Adesso....

— Anche adesso la compagnia non ti mancherà, — disse Efix con voce grave. — Ma cosa intendi quando dici che sei innocente?

— Che cammino verso l’eternità, — disse il cieco sottovoce. — Vado verso una porta che mi sarà aperta a due battenti, e non penso ad altro. Se ho un pane me lo mangio, se non l’ho sto zitto. Non ho mai toccato la roba altrui, non ho mai conosciuta la donna. Juanne Maria me ne condusse una accanto, una volta. Io sentii che odorava di male e mi buttai per terra come passasse il vento. Che devo fare, anima mia? Se non mi salvo l’anima che cosa ho d’altro, fratello caro?

— Ma i denari, a questo morto, glieli hai presi, malanno! — disse Efix.