Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/29

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gli sorrideva, mostrando i denti intatti sotto il labbro scuro di peluria.

— E donna Ester? E donna Noemi?

— Ester è andata a messa, Noemi s’alza adesso. Bel tempo, Efix! Come va laggiù?

— Bene, bene, grazie a Dio, tutto bene.

Anche la cucina era medioevale: vasta, bassa, col soffitto a travi incrociate nere di fuliggine; un sedile di legno lavorato poggiava lungo la parete al di qua e al di là del grande camino; attraverso l’inferriata della finestra verdeggiava lo sfondo della montagna. Sulle pareti nude rossiccie si notavano ancora i segni delle casseruole di rame scomparse; e i piuoli levigati e lucidi ai quali un tempo venivano appese le selle, le bisaccie, le armi, parevano messi lì per ricordo.

— Ebbene, donna Ruth?... — interrogò Efix, mentre la donna metteva una piccola caffettiera di rame sul fuoco. Ma ella volse il gran viso nero incorniciato di bianco e ammiccò accennandogli di pazientare.

— Vammi a prendere un po’ d’acqua, intanto che scende Noemi....

Efix prese il secchio di sotto al sedile; s’avviò, ma sulla porta si volse timido, guardando il secchio che dondolava.

— La lettera è di don Giacintino?

— Lettera? È un telegramma....

— Gesù grande! Non gli è accaduto nulla di male?