Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/36

Da Wikisource.

— 28 —

pregò donna Ruth, che si era inginocchiata per terra e gramolava un po’ di pasta su una tavola bassa, di dargli il telegramma. Ella sollevò la testa e col pugno rivolto bianco di farina si tirò un po’ indietro il fazzoletto.

— L’hai sentita? — disse sottovoce accennando a Noemi. — È sempre lei! L’orgoglio la regge....

— Ha ragione! — affermò Efix pensieroso. — Quando si è nobili si è nobili, donna Ruth. Trova lei una moneta sotterra? Le sembra di ferro perchè è nera, ma se lei la pulisce vede che è oro.... L’oro è sempre oro....

Donna Ruth capì che con Efix era inutile scusare l’orgoglio fuori posto di Noemi, e sempre pronta a seguire l’opinione altrui, se ne rallegrò.

— Ti ricordi com’era superbo mio padre? — disse ricacciando fra la pasta pallida le sue mani rosse venate di turchino. — Anche lui parlava così. Lui, certo, non avrebbe permesso a Giacintino neppure di sbarcare. Che ne dici, Efix?

— Io? Io sono un povero servo, ma dico che don Giacintino sarebbe sbarcato lo stesso.

— Figlio di sua madre, vuoi dire! — sospirò donna Ruth, e il servo sospirò anche lui. L’ombra del passato era sempre lì, intorno a loro.

Ma l’uomo fece un gesto appunto come per allontanare quest’ombra e seguendo con gli