Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/41

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mattino già caldo: le donne uscite di chiesa sparvero di qua e di là, tacite come fantasmi, e tutto fu di nuovo solitudine e silenzio intorno alla casa delle dame Pintor. Donna Ester s’avvicinò al pozzo per coprire con un’assicella una pianticina di garofani, salì svelta le scale, chiuse porte e finestre. Al suo passare il ballatoio scricchiolava e dal muro e dal legno corroso pioveva una polverina grigia come cenere.

Efix aspettò ch’ella scendesse. Seduto al sole sugli scalini, con la berretta ripiegata per farsi un po’ d’ombra sul viso, appuntava col suo coltello a serramanico un piuolo che donna Ruth desiderava piantare sotto il portico; ma lo scintillare della lama al sole gli faceva male agli occhi e la violacciocca già appassita tremolava sul suo ginocchio. Egli sentiva le idee confuse e pensava alla febbre che lo aveva tormentato l’anno scorso.

— Già di ritorno quella diavola?

Donna Ester ridiscese, con un vasetto di sughero in mano: egli si tirò in là per lasciarla passare e sollevò il viso ombreggiato dalla berretta.

— Padrona mia, non esce più?

— E dove vuoi che vada, a quest’ora? Nessuno mi ha invitato a pranzo!

— Vorrei dirle una cosa. È contenta?

— Di che, anima mia?

Ella lo trattava maternamente, senza fami-