Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/42

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gliarità però; lo aveva sempre considerato un uomo semplice.

— Che.... che sieno tutte d’accordo per la venuta di don Giacintino?

— Son contenta, sì. Doveva esser così.

— È un bravo ragazzo. Farà fortuna. Bisogna comprargli un cavallo. Però....

— Però?

— Non bisognerà dargli molta libertà, in principio. I ragazzi son ragazzi.... Io ricordo quando ero ragazzo, se uno mi permetteva di stringergli il dito mignolo io gli torcevo tutta la mano. Eppoi gli uomini della razza Pintor, lei lo sa... donna Ester... sono superbi...

— Se mio nipote arriverà, Efix, io gli dirò come all’ospite: siediti, sei come in casa tua. Ma egli capirà che qui lui è ospite....

Allora Efix si alzò, scuotendosi dalle brache la segatura del piuolo. Tutto andava bene, eppure un senso di inquietudine lo agitava: aveva da dire ancora una cosa ma non osava.

Seguì passo passo la donna, si tolse la berretta per piantar con più forza il piuolo, attese di nuovo pazientemente finchè donna Ester tornò per attinger acqua.

— Dia! Dia a me, — disse togliendole di mano la secchia, e mentre tirava su l’acqua guardava dentro il pozzo, per non guardare in viso la padrona, poichè si vergognava di chiederle i denari che ella gli doveva.