Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/43

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— Donna Ester, non vedo più i fasci di canne. Le ha poi vendute?

— Sì, le ho vendute in parte a un Nuorese, in parte le ho adoperate per accomodare il tetto, e così ho pagato anche il muratore. Sai che l’ultimo giorno di quaresima il vento portò via le tegole.

Egli non insistè dunque. Ci son tanti modi di aggiustare le cose, senza mortificar la gente a cui si vuol bene! Andò quindi da Kallina l’usuraia, fermandosi a salutare la nonna del ragazzo rimasto a guardia del poderetto. Alta e scarna, col viso egizio inquadrato dal fazzoletto nero con le cocche ripiegate alla sommità del capo, la vecchia filava seduta sullo scalino della sua catapecchia di pietre nerastre. Una fila di coralli le circondava il lungo collo giallo rugoso, due pendenti d’oro tremolavano alle sue orecchie come goccie luminose che non si decidevano a staccarsi. Pareva che invecchiando ella avesse dimenticato di togliersi quei gioielli di giovinetta.

— Ave Maria, zia Pottoi; come ve la passate? Il ragazzo è rimasto lassù, ma stasera sarà di ritorno.

Ella lo fissava coi suoi occhi vitrei.

— Ah, sei Efix? Dio ti ajuti. Ebbene, la lettera di chi era? Di don Giacintino? Se egli arriva accoglietelo bene. Dopo tutto torna a casa sua. È l’anima di don Zame, perchè le anime dei vecchi rivivono nei giovani. Vedi