Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/44

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Grixenda mia nipote! È nata sedici anni fa, per la festa del Cristo, mentre la madre moriva. Ebbene, guardala: non è sua madre rinata? Eccola....

Ecco infatti Grixenda che torna su dal fiume con un cestino di panni sul capo, alta, le sottane sollevate sulle gambe lucide e dritte di cerbiatta. E di cerbiatta aveva anche gli occhi lunghi, umidi nel viso pallido di medaglia antica: un nastro rosso le attraversava il petto, da un lembo all’altro del corsettino aperto sulla camicia, sostenendole il seno acerbo.

— Zio Efix! — gridò carezzevole e crudele, mettendogli il cestino sul capo e frugandogli le saccoccie. — Anima, mia bella! Sempre penso a voi, e voi non avete nulla da darmi.... Neanche una mandorla!

Efix lasciava fare, rallegrato dalla grazia di lei. Ma la vecchia, col viso immobile e gli occhi vitrei, disse con dolcezza:

— Don Zame bonanima ritorna.

Allora Grixenda s’irrigidì, e il suo bel viso e i suoi begli occhi rassomigliarono vagamente a quelli della nonna.

— Ritorna?

— Lasciate queste storie! — disse Efix deponendo il cestino ai piedi della fanciulla, ma ella ascoltava come incantata le parole della nonna, e anche lui discendendo la strada credeva di rivedere il passato in ogni angolo di muro. Ecco, laggiù, seduto sulla panchina