Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/52

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casa, in quel lungo pomeriggio luminoso, seguiva col pensiero nostalgico il viaggio delle sorelle. Rivedeva la chiesetta grigia e rotonda simile a un gran nido capovolto in mezzo all’erba del vasto cortile, la cinta di capanne in muratura entro cui si pigiava tutto un popolo variopinto e pittoresco come una tribù di zingari, il rozzo belvedere a colonne, sopra la capanna destinata al prete, e lo sfondo azzurro, gli alberi mormoranti, il mare che luccicava laggiù fra le dune argentee. Pensando a queste dolci cose, Noemi sentiva voglia di piangere, ma si morsicava le labbra, vergognosa davanti a sè stessa della sua debolezza.

Tutti gli anni la primavera le dava questo senso d’inquietudine: i sogni della vita rifiorivano in lei, come le rose fra le pietre dell’antico cimitero; ma ella capiva che era un periodo di crisi, un po’ di debolezza destinata a cessare coi primi calori estivi, e lasciava che la sua fantasia viaggiasse, spinta dalla stessa calma sonnolenta che stagnava attorno, sul cortile rosso di papaveri, sul Monte ombreggiato dal passaggio di qualche nuvola, sull’intero villaggio metà dei cui abitanti era alla festa.

Eccola dunque col pensiero laggiù.

Le par d’essere ancora fanciulla, arrampicata sul belvedere del prete, in una sera di maggio. Una grande luna di rame sorge dal