Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/56

Da Wikisource.

— 48 —

rispose fredda; ma andata via la vecchia riprese il filo dei suoi pensieri. Riviveva talmente nel passato che il presente non la interessava quasi più.

A misura che l’ombra calda della casa copriva il cortile e l’odore dell’euforbia arrivava dalla pianura, ricordava più intensamente la fuga di Lia. Ecco, è un tramonto come questo: il Monte bianco e verde incombe sulla casa, il cielo è tutto d’oro. Lia sta su nelle camere di sopra e vi si aggira silenziosa; s’affaccia al balcone, pallida, vestita di nero, coi capelli scuri che par riflettano un po’ l’azzurro dorato del cielo; guarda laggiù verso il castello, poi d’improvviso solleva le palpebre pesanti e si scuote tutta agitando le braccia. Pare una rondine che sta per spiccare il volo. Scende, va al pozzo, inaffia i fiori, e mentre il profumo dolce della violacciocca si mesce all’odore acre dell’euforbia, le prime stelle salgono sopra il Monte.

Lia va a sedersi sull’alto della scala, con la mano sulla corda, gli occhi fissi nella penombra.

Noemi la ricordava sempre così, come l’aveva veduta l’ultima volta passandole accanto per andare a letto. Dormivano assieme nello stesso letto, ma quella sera ella l’aveva attesa invano. S’era addormentata aspettandola e ancora l’aspettava....

Il resto le si confondeva nella memoria: ore e giorni d’ansia e di terrore misterioso