Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/62

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Asciugandosi, si dirigeva verso la cucina. Noemi lo seguiva.

— Ester gli ha scritto! E lui è partito, così, come alla festa!

Egli sedette sull’antica panca, di faccia al Monte che gettava la sua ombra violetta nella cucina, accavalcò le lunghe gambe, incrociò sul petto le lunghe braccia palpandosele con le mani bianche. Noemi osservò che le calze di lui erano verdi, un colore strano davvero per calze da uomo, e accese il fuoco ripetendo fra sè:

— Ah, Ester gli ha scritto di nascosto? Che se lo curi lei, adesso!

E provava un vago timore a voltarsi, a guardare quella figura d’uomo un po’ tutta strana, verde e gialla, immobile sulla panca dalla quale pareva non dovesse alzarsi più.

Ma egli ricominciò a parlare del viaggio, della strada solitaria, e domandò quanto s’impiegava per arrivare a Nuoro. Voleva recarsi a Nuoro: c’era lassù l’amministratore di un molino a vapore, amico di suo padre, che gli aveva promesso un posto.

Noemi si sollevò sorridente.

— Quanto ci vuole? Non so dirtelo, quanto ci vuole in bicicletta. Poche ore. Io sono stata a Nuoro molti anni fa, a cavallo. La strada è bella, e la città è bella, sì; l’aria è buona, la gente è buona. Là non ci son le febbri, come qui, e tutti possono lavorare e