Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/72

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su una grande cavalletta le cui ali pareva mandassero giù e su i lunghi piedi del cavaliere. Il chiarore del fuoco, a misura che i due salivano, illuminava però le loro figure misteriose; e la prima era quella di Efix su un cavallo gobbo di bisacce e di guanciali, e l’altra quella di uno straniero la cui bicicletta scintillò rossa attraversando di volo il cortile.

Grixenda balzò in piedi appoggiandosi al muro tanto era turbata; anche la fisarmonica cessò di suonare.

— Donna Ester mia! Suo nipote.

Le dame s’alzarono tremando e donna Ester parlò con una vocina che pareva il belato d’un capretto.

— Giacintino!... Giacintino... Nipote mio... Ma non è una visione? Sei tu?...

Egli era smontato davanti a loro e si guardava attorno confuso: sentì le sue mani prese dalle mani secche della zia, e sullo sfondo nero del muro vide il viso pallido e gli occhi di perla di Grixenda.

Poi tutte le donne gli furono attorno, guardandolo, toccandolo, interrogandolo: il calore dei loro corpi parve eccitarlo; sorrise, gli sembrò d’esser giunto in mezzo ad una numerosa famiglia, e cominciò ad abbracciare tutti.

Qualche donna balzò indietro, qualche altra si mise a ridere sollevando il viso a guardarlo.