Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/77

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bre. E i piedi si sollevavano sempre più svelti, battendo gli uni sugli altri, percotendo la terra come per svegliarla dalla sua immobilità.

— E su! E su!

Anche la fisarmonica suonava più lieta ed agile. Grida di gioia echeggiarono, quasi selvaggie, come per domandare al motivo del ballo una intonazione più animata e più voluttuosa.

— Uhì! Ahiahi!

Tutti eran corsi a vedere, e là in fondo nell’angolo del cortile Grixenda distinse i capelli dorati di Giacinto fra i due fazzoletti bianchi delle zie.

— Compare Efix, fate ballare il vostro figlioccio! — disse Natòlia.

— Quello è un puntello, sì!

— Mettilo accanto alla chiesa e ti sembrerà il campanile.

— E sta zitta, Natòlia, lingua di fuoco.

— Parlano più i tuoi occhi che la mia lingua, Grixè!

— Il fuoco ti mangi le palpebre!

— E state zitte, donne, e ballate.

A sa festa.... a sa festa so andatu....

— Uhì! Uhiahi!...

Il grido tremolava come un nitrito, e le gambe delle donne, disegnate dalle gonne scure, e i piedi corti emergenti dall’ondulare dell’orlo rosso si movevan sempre più agili scaldati dal piacere del ballo.

— Don Giacinto! Venga!