Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/83

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l’ambra e a berlo così, dalla bocca stretta della zucca, dava quasi un senso di voluttà.

Efix guardava, inginocchiato come in adorazione: bevette anche lui e sentì voglia di piangere.

Le api si posarono sulla zucca; Giacinto strappò di mezzo alle sue gambe sollevate uno stelo d’avena, e guardando per terra domandò:

— Come vivono le mie zie?

Era giunto il momento delle confidenze. Efix sporse la zucca di qua e di là, a destra e a sinistra.

— Guardi, vossignoria, fin dove arriva l’occhio la valle era della sua famiglia. Gente forte, era! Adesso non resta che questo poderetto, ma è come il cuore, che batte anche nel petto dei vecchi. Si vive di questo.

— Ma che testa, mio nonno! È stato lui a rovinare la famiglia....

— Se non era lui vossignoria non era nato!

Giacinto sollevò rapido gli occhi, riabbassandoli tosto. Occhi pieni di disperazione.

— E perchè nascere?

— Oh bella, perchè Dio vuole così!

Giacinto non rispose: guardava sempre per terra e le sue palpebre si sbattevano quasi stesse per piangere. Ma bevette di nuovo, docile, chiudendo gli occhi, mentre Efix si lasciava sedere a gambe in croce e si prendeva un piede fra le mani.