Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/89

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— Così il diavolo mi aiuti, è il cavallo più forte del Circondario: puoi caricargli su un monte, lo porta. Vedi, va come non avesse neanche sella. E dimmi, tu, cosa è venuto a frugare qui quel vagabando di mio nipote?

Efix gli fece una smorfia alle spalle. Ah, ecco perchè l’aveva preso!

— Perchè, vagabondo? Era impiegato.

— Che impiego aveva? Contava le ore?

— Un buon impiego, invece! Nella dogana. Ma, certo, per vivere in quei posti ci vuole molto denaro. Ci son signori che hanno terre quanto è grande la Sardegna e uno fa elemosine più del re.

Don Predu si gonfiò tutto dal ridere: una risata silenziosa, feroce.

— Ah, ecco, ci siamo! Ecco che hai già la testa piena di vento!

— Perchè parla così, don Predu? — disse Efix con dignità. — Il ragazzo è sincero, buono: non ha vizi, non fuma, non beve, non ama le donne. Avrà fortuna. Se vuole ha subito un posto a Nuoro. Eppoi ha anche denari alla Banca.

— Tu li hai contati, babbèo? Ah, Efix, in fede mia, a te dànno da mangiar fandonie, invece di pane. Dimmi, quanto ti devono adesso le tue nobili padrone?

— Nulla, mi devono. Io devo tutto a loro.

— Zitto, se no ti scaravento dentro il fiume. Senti, adesso continuerete a far debiti,