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Pagina:Deledda - Cattive compagnie, Milano, Treves, 1921.djvu/133

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Ballòra 123


— I miei zii non ci sono, per potermi osservare,— pensò Ballòra, senza rispondere alla zia. — Mi metterò in piedi, davanti al fuoco, perchè mio padre non mi veda.

E non sapeva se era il desiderio di far dispetto al Sindaco o l’ansia di veder “un uomo più bello di Tiu Matteu„ che l'agitava tutta.

*

Il Sindaco tornò verso sera, accompagnato dal giovane nuorese.

I Pintore, donne, giovinetti, fanciulli, finivano di cenare, seduti per terra, intorno a un canestro colmo di pane d’orzo. Nel chiaroscuro della cucina piena di fumo, Miale Gisu non distinse sulle prime che un gruppo di figure quasi selvagge; donne col capo avvolto e il viso ombreggiato da bende nere e gialle, ragazzi dai capelli lunghi, bambini con gli occhioni luminosi, e un gigante sdraiato su una stuoia, accanto al fuoco.

E solo questo gigante, ch’era zio Ballòre, sollevò gli occhi, salutando lo straniero: le donne anch’esse salutarono, ma a testa china; poi si alzarono e sparecchiarono.

II Ghisu sedette accanto al focolare e cominciò a chiacchierare col vedovo.