Vai al contenuto

Pagina:Deledda - Cattive compagnie, Milano, Treves, 1921.djvu/166

Da Wikisource.
156 cattive compagnie


— Non ancora! Ma c’è una persona che s’è incaricata di farmi ottenere un’udienza.

— Quanto mi piacerebbe di vederlo! Sono nipote del vescovo di Olbia, — ella disse con lo stesso accento con cui il vecchio aveva annunziata la sua parentela con don Simone Decherchi.

Intanto Elia ordinava il caffè e liquori.

— Liquori no! Liquori no! — ella disse spaventata. Ma Elia promise di non bere che il caffè.

Il vecchio sedette, e mentre fuori la pioggia scrosciava furiosa, quei tre isolani cominciarono a parlare del loro paese e dei loro parenti, rievocando, in quella volgare cameruccia d’albergo, tutta la nostalgica poesia della loro terra lontana.

— Adesso mi ricordo, — disse il vecchio; — sì, una volta ho sentito parlare di lei. Ma, dico la verità, si raccontavano storielle curiose. Non si offenderà se dico questo?

— Oh no! Ero una buona lana davvero! Ma adesso son diventato bravo. Non è vero, Pasqua? Non ero cattivo neppure allora! Era il mio tutore che mi faceva disperare. Ero semplice, ingenuo: tutti mi derubavano. Commettevo mille sciocchezze per far dispetto al mio tutore. Adesso però son diventato serio....