Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/108

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sul cielo latteo, perdendosi dietro i ceruli picchi dei monti d’Oliena; dalla vallata salivano, quasi da una immensa conchiglia colma di verde, profumi e suoni sfumati nell’aria calda.

Ogni tanto Nanna si sollevava, con una mano sulla schiena, con l’altra gettando baci allo studente.

— Anima mia, — diceva con tenerezza, — Dio ti benedica. Eccolo là che studia come un piccolo canonico. Chissà cosa diventerà! Diventerà giudice istruttore; tutte le ragazze della città lo vorranno raccogliere come un confetto. Ah, la mia povera schiena!

— Lavora! — rispondeva zio Pera. — Che una palla ti trapassi il fegato, lavora, e lascia tranquillo il ragazzo....

— Che voi siate pelato; se fossi stata una ragazzetta di tredici anni non mi avreste parlato così.... — ella insinuava malignamente, curvandosi: poi tornava a sollevarsi ed a inviar baci ad Anania, che non se ne accorgeva affatto.

— Che è? — gridò il mugnaio, udendo picchiare al cancello.

Anania ed Efes sollevarono il viso, l’uno dal libro, l’altro dall’erba, quasi con la stessa espressione d’attesa angosciosa. Che fosse il signor Carboni? Sì, Anania e l’ubriacone provavano quasi la stessa soggezione vergognosa quando il signor Carboni li sorprendeva nell’orto: Efes Cau sentiva tutto il peso della sua abbiezione quando l’uomo benefico, con uno sguardo dolce e triste, senza rivolgergli — unico