Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/13

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smosso: due merli cantavano dondolandosi su una fronda d’olivastro; grandi nuvole bianche rendevano più intenso l’azzurro del cielo. Tutto era dolcezza, silenzio, oblìo.

— Ecco, — disse il giovine, che teneva ancora la bisaccia sulla spalla, — io ho una moglie vecchia. Ah, me la diedero per forza.... come i parenti volevano dare a tua madre il vecchio possidente.... perchè io sono povero ed ella ha molti soldi. Ma che cosa importa? Ella è vecchia e morrà presto; noi siamo giovani, Olì, ed io voglio bene soltanto a te. Se tu mi abbandoni io muoio.

Olì s’intenerì e credette.

— E che faremo ora? — domandò. — Mio padre mi bastonerà se continueremo ad amarci.

— Abbi pazienza, agnellino mio. Mia moglie morrà presto; ma anche non morisse io troverò il tesoro e ce ne andremo in Continente.

Olì protestò, pianse, non sperò molto nel tesoro, ma continuò ad amoreggiare col servo.

La seminagione era terminata, ma Anania andava spesso in campagna per osservare se il grano spuntava, e per estirpare le male erbe dal seminato: nelle ore di riposo, invece di coricarsi, egli diroccava il nuraghe, con la scusa di costruire un muro con le pietre divelte dal monumento, ma in realtà per cercare il tesoro.

— Se non qui altrove, ma lo troverò! — diceva ad Olì. — Ebbene, a Maras un servo come me trovò un fascio di verghe d’oro. Egli non si avvide che erano d’oro e le consegnò ad un