Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/12

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sogos, dipingeva nelle chiese e scolpiva i pulpiti: però si uccise perchè aveva da scontare una condanna. Sì, i parenti di mia madre erano nobili ed istruiti: tuttavia ella non volle sposare il vecchio proprietario. Vide invece mio padre, che allora era bello come una bandiera, se ne innamorò e fuggì con lui. Ella soleva dire, mi ricordo: «Mio padre mi ha diseredata, ma non importa; gli altri si tengano le loro ricchezze, io mi tengo il mio Micheli e basta!»



Un giorno il cantoniere si recò a Nuoro per comprare del frumento, e ritornò più triste e disfatto del solito.

— Olì, bada a te, Olì! — disse alla figlia minacciandola con la mano. — Guai se quel servo rimette ancor piede qui! Egli ci ha ingannato persino sul suo nome. Disse di chiamarsi Quirico ed invece si chiama Anania. È oriundo di Orgosolo, razza di astori, parente di banditi e di galeotti. Bada a te, donnicciuola: egli ha moglie!

Olì pianse e le sue lagrime caddero, assieme col frumento, entro l’arca di legno nero; ma appena l’arca fu chiusa e zio Micheli tornò al lavoro, la fanciulla andò in cerca del servo.

— Tu ti chiami Anania! Tu hai moglie! — gli disse, e gli occhi le fiammeggiavano di rabbia.

Anania finiva di seminare il grano sul prato