Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/132

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chi tristi e cerchiati, azzurri come quelli di Margherita.

— Addio, Antonino, — salutò lo studente, mentre l’altro lo guardava con un baleno d’odio nelle pupille melanconiche.

Rientrato a casa Anania riferì ogni cosa a zia Tatàna, mentre la donna, seduta davanti a un braciere, preparava un dolce di scorze d’arancio, mandorle e miele1, da portare in regalo ad un importante personaggio cagliaritano.

— Sentite, — disse Anania, — il vostro canonico mi ha regalato uno scudo, e due lire il medico. Io non volevo....

— Ah, cattivo figliuolo! È uso, questo, di regalare denari agli studenti che partono la prima volta, — osservò la donna, rimovendo e rimescolando delicatamente con due forchette i sottili fili della scorza d’arancio entro la lucida casseruola di stagno.

Un acuto odore di miele bollente profumava la cucina tranquilla: qua e là facevano capolino i piccoli cestini gialli colmi di provviste per lo studente.

Anania sedette presso la donna, prese il gatto sulle ginocchia e cominciò ad accarezzarlo.

— Dove sarò tra otto giorni? — chiese pensieroso. — Sta fermo, Mussittu, giù la coda. Il vostro canonico mi ha fatto una lunga predica.

  1. È l’aranciata, con la quale forse il Sardo primitivo ha voluto imitare e riprodurre il favo del miele, del quale realmente l’aranciata prende la forma, il colore ed anche un po’ la sostanza.