Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/133

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— E ti consigliò di confessarti e comunicarti prima di partire?

— Ciò si faceva venti anni fa, quando si partiva a cavallo per Cagliari, e s’impiegavano tre giorni per arrivarci. Adesso non si usa più, — rispose maliziosamente Anania.

— Cattivo figliuolo, tu non credi più in Dio!

— Col cuore, sì!

Queste parole consolarono alquanto la buona donna che gli narrò l’episodio biblico di Elì; dopo gli chiese:

— Dove dunque sei stato?

Egli ricominciò a narrare: il gattino gli si era arrampicato sulle spalle e gli leccava le orecchie, dandogli un solletico strano che lo faceva, egli non sapeva perchè, pensare a Margherita.

Mentre raccontava il volgare scherzo del Carchide entrò Nanna, che zia Tatàna aveva mandata a comperare droghe e confetti per ornare il dolce: ella puzzava di vino, aveva le sottane lacere, in modo che le si scorgevano le gambe legnose e violacee, ed era ributtante più del solito.

— Ecco qui, — disse, estraendo dal seno i pacchettini delle droghe, e fermandosi ad ascoltare i discorsi di Anania.

— Hai sentito? — esclamò ingenuamente zia Tatàna. — Quell’immondezza di Franciscu Carchide vuole sposare Margherita Carboni.

— Non è così! — disse Anania, irritato. — Non capite niente!

— Sì, — disse Nanna, — io lo so; egli è