Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/159

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Eppure!... passando sotto un nuraghe nero su un’alta roccia, simile ad un nido d’uccelli giganteschi, Anania desiderò di trovarsi lassù con Margherita, soli tra le rovine e i ricordi che spiravano col selvaggio odor del lentischio; soli, suggestionati da ombre e da fantasmi di età epiche. Ah, come si sentiva grande!

Ma ecco che le cerule montagne della Barbagia natia svaniscono all’orizzonte: una sola cresta dell’Orthobene appare ancora, dietro altre cime, violacea sul cielo pallido; ancora un lembo, una punta, una pietra.... più niente. Anche i monti tramontano come il sole e la luna, lasciando un triste crepuscolo nell’anima di chi si allontana dal paese natio.

Addio, addio. Anania si sentì triste, ma per scuotersi pensò intensamente al bacio di Margherita, il cui ricordo, del resto, non lo abbandonava un istante.

A momenti però trasaliva. Non era stato tutto un sogno? Se ella dimenticava o si pentiva? Ma subito l’orgoglio gli ridonava la speranza.

La sua ebbrezza durò parecchi giorni, finchè durò lo stordimento della nuova esistenza.

Tutte le cose gli andavano a seconda; appena arrivato a Cagliari trovò una bellissima camera con due balconi, da uno dei quali si godeva un paesaggio chiuso da colline e dal mare luminoso, talvolta così calmo che i piroscafi ed i velieri vi si disegnavano come incisi sull’acciaio, e dall’altro il panorama della rosea città, che coi suoi bastioni, il suo Castello,