Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/241

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— Al diavolo chi vi ha formato! — imprecò la bella ragazza. — Questo è un po’ troppo! Lasciatemi o.... svelo!

Ma i due la pizzicarono più forte.

— Ahi! ahi! Al diavolo! Rebecca, è inutile che tu faccia la gelosa.... ahi! zia Tatàna stassera.... è andata a chiedere.... parlo o no? Ah!...

Anania si ritrasse, chiedendosi come mai la indiavolata Agata sapeva....

— Cuoricino mio, un’altra volta rispetta zia Agata! — ella disse sogghignando, mentre Rebecca, che aveva capito, taceva, impietrita, e zia Sorichedda domandava:

— Fammi il piacere, Nania Atonzu, dimmi, chi a Nuoro può avere mille scudi in oro?

Anche il contadino s’avvicinò e chiese:

— Dimmi, Nania, è vero che il papa ha settantasette donne ai suoi comandi?...

Anania non rispose, forse non intese neppure: vedeva una figura avanzarsi dal fondo della straducola e si sentiva venir meno. Era lei, la vecchia colomba messaggera, era lei che tornava portando fra le pure labbra, come un fiore di vita o di morte, la parola fatale.

Egli si ritirò e chiuse la porticina che dava sul cortile, mentre zia Tatàna rientrava dall'altra parte e chiudeva la porta di strada. Ella sospirava ed era ancora un po’ pallida e oppressa; s’avvicinò al focolare, e i suoi primitivi gioielli, i suoi ricami, la cintura, gli anelli, scintillarono al riflesso del fuoco.

Anania le corse incontro e la guardò ansioso,