Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/243

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battuto le mani e scosso la lesta come per dire: «me l’hanno fatta quei due!» Aveva anche detto «Fanno presto a metter le ali questi ragazzi!» ma poi era diventato serio e pensieroso.

— Ma, infine, che avete concluso? — gridò Anania, facendosi anch’egli serio e pensieroso.

— Che bisogna aspettare. Santa Caterina bella! Non hai ancora capito? Ma la padrona disse: «bisognerebbe interrogare anche Margherita».

— «Eh, credo proprio che non occorra», rispose il padrino, battendo le mani. Io sorrisi.

Anche Anania sorrise.

— Abbiamo dunque concluso.... Va via, gatto! — gridò zia Tatàna, tirando il lembo della tunica, sul quale il gattino s’era comodamente adagiato leccandosi i baffi con orribile soddisfazione. — Abbiamo concluso che bisogna aspettare. Il padrone mi disse: — Che il «fanciullo» pensi a studiare ed a farsi onore. Quando egli avrà un posto onorevole noi gli daremo la nostra figliuola: intanto si amino pure, e che Dio li benedica. — Ecco, tu ora cenerai, spero!

— Ma, infine, posso presentarmi in casa loro come fidanzato?

— Per adesso no: per quest’anno no! Tu corri troppo, galanu meu! La gente direbbe che il signor Carboni è rimbambito, se permettesse una tal cosa: bisogna che tu prenda la laurea, prima...

— Ah! — gridò Anania, adirandosi, — è dunque meglio-.... — Stava per dire: è dunque meglio che ci vediamo di notte, di nascosto, per