Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/251

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mi riconoscete dunque? — zia Grathia diede un grido ed aprì le braccia: Anania l’abbracciò, la baciò, la investì di domande.

E Zuanne? Dov’era? Perchè si era fatto monaco? Veniva a trovarla? Era felice? E il figlio maggiore? E i figli del fabbricante di ceri? E questo e quell’altro? E come era trascorsa la vita a Fonni durante quei quindici anni? E chi era il pretore? E si poteva l’indomani far la gita sul Gennargentu?

— Figlio mio caro! — cominciò la vedova, dandosi attorno. — Ah, come trovi la mia casa! Nuda e triste come un nido abbandonato! Siediti dunque, lavati; ecco l’acqua pura e fresca, vero argento puro; lavati, bevi, riposati. Io ora ti preparerò un boccone: ah, non rifiutare, figlio delle mie viscere; non rifiutare, non umiliarmi. Per cibarti io vorrei darti il mio cuore; ma tu accetta quel che posso offrirti; ecco, asciugati, ora, anima mia! Come sei grande e bello! Dicono che tu debba sposare una ricca e bella fanciulla: ah, non è stata stupida quella fanciulla. Ma perchè non mi hai tu scritto prima di venire? Ah, figlio caro, tu almeno non hai dimenticato la vecchia abbandonata!

— Ma Zuanne, Zuaime? — insisteva Anania, lavandosi con l’acqua freschissima della secchia.

La vedova diventò cupa. Disse: — Ebbene, non parlarmene! Egli mi ha fatto tanto soffrire! Era meglio che.... egli avesse seguito l’esempio del padre.... Ebbene, no, non parliamone. Egli non è un uomo; sarà un santo,