Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/261

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— Eppure ti farebbe bene, figlio! Ah, sì, io so quanto fa bene piangere! Quando fu picchiato alla mia porta, una notte, ed una voce che pareva quella della Morte mi disse: «Donna, non aspettare più!» io diventai di pietra. Per ore ed ore non potei piangere; e furono le ore più terribili per me: mi pareva che il cuore, dentro il petto, fosse diventato di ferro rovente, e mi bruciasse, mi bruciasse le viscere, mi lacerasse il petto con la sua punta acuta. Ma poi il Signore mi concedè le lagrime, ed esse rinfrescarono il mio dolore come la rugiada rinfresca le pietre arse dal sole. Figlio, abbi pazienza! Siamo nati per soffrire: e cosa è mai questo tuo dispiacere in confronto di tanti altri dolori?

— Ma io non soffro! — egli protestò. — Dovevo aspettarmelo, questo colpo; me lo aspettavo anzi, vedete! Sono stato spinto a venir qui quasi da una forza misteriosa; una voce mi diceva: va, va, là saprai qualche cosa! Certo, ho provato un colpo.... un po’ di sorpresa.... ma adesso è passato: non datevi pena.

Ma la vedova lo fissava, lo vedeva livido in viso, con le labbra pallide contratte, e scuoteva il capo. Egli proseguì: — Ma perchè nessuno mi ha detto mai nulla? Eppure qualche cosa dovevano sapere. Il carrozziere, per esempio, possibile che non sapesse nulla?

— Forse. Ella sola poteva farti sapere qualche cosa; ma no, essa ha paura di te. Quando