Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/260

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nato; che aveva cercato sua madre al di là dei monti e dei mari, mentre ella trascinava la sua miseria e il suo disonore attraverso l’isola natia; che si era commosso davanti a tanti volti stranieri e non aveva sentito un palpito nello scorgere il volto della mendicante, della miseria viva, di sua madre, incorniciato dalla finestruola tetra della cantoniera.

Che cosa dunque era l’uomo? E il cuore umano? E la vita, l’intelligenza, il pensiero? Ah, sì, ora che queste domande gli salivano non più oziosamente alle labbra, ora che la realtà batteva intorno a lui le sue ali funebri e squarciava i vapori dell’illusione, ora egli rispondeva alle sue domande e sapeva che cosa era l’uomo, il suo cuore, la sua vita: inganno, inganno, inganno.



A un tratto zia Grathia lo prese per un braccio e lo costrinse a sedersi: poi gli si accoccolò davanti, gli strinse una mano, e lo guardò di sotto in su, lungamente, pietosamente.

— Bambino mio, — gli disse, — piangi, piangi. Ti farà bene. Come sei freddo!

Anania strappò la mano dal morso duro delle mani della vedova.

— Ma per chi mi prendete? — domandò offeso. — Non sono un ragazzino, io! Perchè devo piangere?