Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/264

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gazzo mio! Se tu fossi rimasto qui, che avresti fatto? Forse avresti finito vilmente col farti anche tu frate.... frate mendicante.... frate poltrone!... Basta, non parliamone più! Meglio morire che finire così! E tua madre avrebbe seguito egualmente la sua via, perchè quello era il suo destino. Anche qui, prima di partire, credi tu ch’ella menasse una vita santa? Ebbene, no: era questo il suo destino. Ella aveva qui, negli ultimi tempi, un amante carabiniere che fu trasferito a Nuraminis pochi giorni prima della vostra fuga. Dopo che ti ebbe abbandonato, almeno così la disgraziata mi raccontò, ella parti per Nuraminis, a piedi, nascondendosi di giorno, camminando di notte, attraversando metà della Sardegna. Raggiunse il carabiniere e la loro relazione continuò per qualche mese; egli aveva promesso di sposarla, ma invece si stancò presto di lei, la maltrattò, la percosse, poi l’abbandonò. Ella seguì la sua fatale via. Mi disse, — e piangeva, poveretta, piangeva da commuovere le pietre, — che cercò sempre del lavoro, ma che non potè trovarne mai. È il destino, te lo dissi! Il destino che priva del lavoro certi esseri disgraziati, come ne priva altri della ragione, della salute, della bontà. L’uomo e la donna inutilmente si ribellano. No, avanti, morite, crepate, ma seguite il filo che vi tira! Basta, ultimamente però ella si era emendata: s’era unita con un cieco cantastorie e vivevano da due anni come marito e moglie: ella lo conduceva per i paesi, per le feste campestri, da